Sei arresti in carcere, tre ai domiciliari, in tutto 50 indagati. Secondo gli inquirenti, tra il giugno 2015 e il giugno 2016 avrebbero attraversato il Mediterraneo trenta carichi per un complesso di 80 milioni di chili di carburante, del valore di 30 milioni. Iva evasa per oltre 11 milioni.
Un complesso mosaico di interessi che dalla Libia passa per Malta, poi raggiunge la Sicilia e altri porti italiani e infine la Spagna e la Francia. Con profitti da decine di milioni di euro. Lo spaccato descritto dall’inchiesta Dirty oil è un gioco di trame e sotto trame. E al centro della partita c’è Catania. L’articolata organizzazione transnazionale finalizzata alla vendita e alla distribuzione del petrolio rubato dalla raffineria libica di Zawyia, situata a 40 chilometri da Tripoli, sarebbe stata composta dalle figure più disparate: c’è il capo di una milizia libica sospettata di sostenere l’Isis in patria, ma anche un uomo che alcuni collaboratori di giustizia indicano come appartenente al clan mafioso Santapaola-Ercolano.
Nel complesso gli indagati sono 50. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Catania contempla nove arresti, sei in carcere e tre ai domiciliari. Dietro le sbarre finiscono anche personaggi già noti agli inquirenti italiani: è il caso del 45enne catanese Nicola Orazio Romeo, inserito dai racconti di più di un pentito nell’organico dei Santapaola-Ercolano, già denunciato nel 2008 per la sua presunta appartenenza al sodalizio mafioso e per presunti casi di estorsione praticati tra Acireale e Aci Catena. La guardia di finanza lo ha raggiunto nella sua villa «del valore di un milione di euro» a Santa Maria Ammalati, frazione acese. La sua presunta appartenenza alla mafia, però, non è stata riconosciuta dal gip nell’inchiesta emersa oggi.
Ma la figura centrale dell’affaire gasolio sarebbe Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, capo di una milizia armata attiva sulla costa libica al confine con la Tunisia, tra le città di Zawyia, Zuara e Sabrata. Il sito specializzato Gli occhi della guerra lo definisce «uno dei più grandi trafficanti di esseri umani, petrolio e droga del Mediterraneo». Soprannominato «il Malem» (il capo), era fuggito dal carcere nel 2011 alla caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi. Stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di stupefacenti. I suoi incarichi dirigenziali in società petrolifere lo avrebbero favorito nel trafugare il carburante dalla raffineria di Zawyia. Pescherecci e piccole navi da trasporto in suo possesso avrebbero portato in acque libiche e maltesi il prodotto, poi trasferito a imbarcazioni commerciali della Maxcom bunker spa con il metodo «ship to ship», ovvero affiancamento e pompaggio da una nave all’altra attraverso una potente tubazione. Il procuratore capo Carmelo Zuccaro è convinto che una parte dei profitti dell’organizzazione sia finita nelle casse dell’Isis per il suo tramite. Sebbene la circostanza non riguardi questa indagine, dietro il traffico transfrontaliero di esseri umani – almeno in parte – ci sarebbero lui e altri indagati di Dirty oil.
Un altro degli arrestati è proprio l’amministratore delegato di Maxcom bunker Marco Porta, 48 anni. Sono indagati anche Rosanna La Duca, 48 anni, Stefano Cevasco, anche lui 48enne, e Antonio Baffo, 61 anni, tutti e tre dipendenti di Maxcom. In carcere anche i maltesi Darren Debono e Gordon Debono, entrambi 43enni. Il secondo è stato fermato all’aeroporto di Catania mentre si stava imbarcando per un volo verso l’estero. I due, assieme, a Romeo, avrebbero curato il trasporto via mare del petrolio e gestito la rete di società coinvolte nel business. Il libico Tarek Dardar sarebbe invece la mente finanziaria dell’organizzazione: controllava i conti correnti tunisini e maltesi su cui Ben Khalifa riceveva i pagamenti per il petrolio venduto.
Il metodo. Secondo la procura di Catania, il petrolio sottratto alla Noc (National oil corporation, l’unico ente libico dotato del potere di vendere legalmente il petrolio) è un carburante contenente una percentuale di zolfo inferiore allo 0,1 per cento, pertanto destinato al bunkeraggio, ovvero il rifornimento di navi e altre imbarcazioni. Le vedette Maxcom lo trasportavano fino al porto di Augusta, da cui, via terra, raggiungeva il deposito di Mazara del Vallo. Da lì, veniva distribuito in Sicilia e in Campania o spedito ai porti di Civitavecchia e Venezia, e poi raggiungeva anche la Spagna e la Francia.
Magistrati e guardia di finanza ritengono che, dal giugno 2015 al giugno 2016, oltre 30 carichi abbiano attraversato il Mediterraneo trasportando circa 80 milioni di chili di di gasolio, per un valore (all’acquisto, non di mercato) di circa 30 milioni di euro. L’Iva evasa sul territorio italiano ammonterebbe a undici milioni di euro. In una prima fase, attraverso documentazione falsa, Ben Khalifa faceva credere che il prodotto fosse saudita. Poi l’aumentata attenzione dei media sui traffici marittimi sospetti di mezzi e beni tra la Libia e la Sicilia gli avrebbe consigliato di utilizzare il marchio libico, ovviamente falsificato.
Il profitto dei compratori era dato dal prezzo più basso offerto da Khalifa rispetto a quello di mercato (in alcuni casi addirittura del 60 per cento) e dall’evasione dell’Iva e delle accise. Ma tra gli indagati ci sarebbero anche una decina di titolari di stazioni di distribuzione Eni di Catania e dell’hinterland, ritenuti compiacenti, che avrebbero acquistato il gasolio dalla presunta organizzazione a prezzi da affare, rivendendolo agli ignari consumatori dopo aver manomesso le colonnine con il sostegno di un tecnico, anch’esso finito nel mirino degli inquirenti. Proprio da queste anomalie l’Eni avrebbe estratto il materiale riassunto in una denuncia da cui è partita l’inchiesta.
Per smantellare la presunta banda del petrolio, le fiamme gialle – in particolare il Gico, ma con il sostegno dello Scico – hanno sperimentato per la prima volta in Italia apparecchiature capaci di captare conversazioni effettuate tra telefoni satellitari. La stima autentica dei profitti del gruppo è resa difficile, quasi impossibile, dalla miscelazione del gasolio, operata non appena il prodotto raggiungeva il deposito di Mazara del Vallo. Una mescola che per altro diminuiva la qualità del carburante, all’insaputa dell’acquirente al dettaglio.
COMUNICATO STAMPA DELLA GUARDIA DI FINANZA
Su delega di questa Procura distrettuale i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale etneo nei confronti di 9 soggetti (6 dei quali in carcere e 3 agli arresti domiciliari) in quanto promotori, organizzatori e partecipi di un’associazione a delinquere internazionale dedita al riciclaggio di gasolio libico illecitamente asportato dalla raffineria libica di Zawyia (a 40 km ovest da Tripoli) e destinato, dopo miscelazione, ad essere immesso nel mercato italiano ed europeo anche come carburante da autotrazione. All’associazione criminale, che si è avvalsa anche dell’opera di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, è stata altresì contestata l’aggravante mafiosa attesa la presenza nella stessa di Nicola Orazio ROMEO ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. In un anno di indagini, i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania, sono riusciti a documentare dettagliatamente oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di kg. di gasolio per un valore all’acquisto di circa 30 milioni di euro. Tra i soggetti coinvolti nel traffico internazionale di prodotti petroliferi libici e destinatari della misura in carcere figurano: – l’amministratore delegato della MAXCOM BUNKER S.P.A., Marco PORTA (cl.1969); – Fahmi Mousa Saleem BEN KHALIFA, alias “il Malem” (il capo), nativo di Zuwarah (Libia), fuggito dal carcere nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga; BEN KHALIFA ha guidato una milizia armata stanziata nella zona costiera al confine con la Tunisia ed è stato recentemente posto agli arresti per contrabbando di carburanti da parte delle Autorità libiche; – il catanese Nicola Orazio ROMEO (cl.1972), indicato da alcuni collaboratori di giustizia quale appartenente alla frangia mafiosa degli Ercolano e ritenuto, in una conversazione captata tra gli indagati, quale soggetto della “mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno”. Romeo è già stato denunciato nel 2 2008 per la sua appartenenza mafiosa ai Santapaola e per alcune azioni estorsive perpetrate nelle zone di Acireale e Aci Catena. Nella presente indagine Romeo è parte integrante della componente maltese dell’organizzazione la cui funzione primaria è stata quella di organizzare i trasporti del gasolio libico via mare; – i cittadini maltesi Darren DEBONO (cl.1974) e Gordon DEBONO (cl.1974); i maltesi, con Nicola Orazio ROMEO, hanno curato il trasporto via mare gestendo, al contempo, il reticolo di società commerciali coinvolte nel business; – il libico, originario di Zuwara, Tareq DARDAR, quale collettore dei pagamenti e dei flussi finanziari veicolati su conti esteri nella disponibilità del Ben Khalifa. Per i soggetti non rintracciati nel territorio nazionale, la Procura distrettuale ha richiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale. L’amministratore delegato della MAXCOM BUNKER SPA, società con sede legale a Roma, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e di bunkeraggio delle navi, si è avvalso della complicità di alcuni dipendenti della società, attinti anche loro della misura cautelare degli arresti domiciliari. Si tratta di Rosanna LA DUCA (cl.1969), consulente esterna della MAXCOM BUNKER SPA, Stefano CEVASCO (cl.1969), addetto all’ufficio commerciale, Antonio BAFFO (cl.1956) responsabile del deposito fiscale di Augusta. Il gasolio libico – trafugato dalla N.O.C. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, riciclato e immesso, all’insaputa dei consumatori finali, anche presso distributori stradali – è un carburante avente tenore di zolfo minore di 0,1% ed è destinato al “bunkeraggio” ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili ad unità navali. Il prodotto in questione, dopo miscelazioni presso uno dei depositi fiscali della MAXCOM siti in Augusta, Civitavecchia e Venezia, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo (Francia e Spagna in particolare) ad un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali pur essendo la qualità dello stesso inferiore. La stabile associazione criminale mirava ad acquisire la disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali (in alcuni casi anche fino al 60%) così garantendo alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato. Gli ideatori del lucroso affare internazionale, al fine di ostacolare la ricostruzione dei passaggi materiali, documentali e finanziari sottesi al commercio di gasolio, hanno 3 costruito un variabile sistema di società, a più livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali. La frode è stata attuata mediante il ricorso a falsa documentazione attestante inizialmente l’origine saudita del gasolio “libico” e poi, successivamente, la non veritiera cessione del carburante da una delle società sussidiarie della N.O.C. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia. Va, infatti, segnalato come la commercializzazione e l’esportazione dei prodotti derivati dal petrolio raffinati in Libia sia un’esclusiva della N.O.C. e ogni cessione che avvenga attraverso società non autorizzate costituisce un illecito. In una fase successiva, ovvero a seguito dell’improvvisa attenzione mediatica sul fenomeno illecito in rassegna, l’organizzazione ha mutato il sistema di frode: il prodotto non era più accompagnato da certificati attestanti la falsa origine saudita ma da falsi certificati libici, realizzati attraverso la pratica corruttiva in quel Paese. Infatti, prima la pubblicazione, il 25 febbraio 2016, sul quotidiano online “corriere.it”, di un articolo dal titolo “Le Petroliere fantasma dalla Libia all’Italia – I traffici nel mediterraneo” che ricostruiva con precisione le rotte delle navi impiegate dal sodalizio criminale per il traffico illecito di prodotti petroliferi tra la Libia, Malta e l’Italia, e poi le risultanze del Report n. S/2016/209 del 09 Marzo 2016 del Gruppo di esperti in Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno letteralmente allarmato l’amministratore delegato della Maxcom Bunker SPA, Marco Porta e alcuni suoi stretti collaboratori. Nel citato Report delle Nazioni Unite veniva evidenziata l’imponente dimensione del “contrabbando di benzina sia dentro che fuori dalla Libia, che conduce al mercato nero e che fornisce una fonte significativa di introiti per i gruppi armati locali e le reti criminali”, con specifico riferimento ai prodotti provenienti dalla raffineria di Zawiya e contrabbandati, secondo modalità perfettamente corrispondenti a quelle accertate nel corso delle investigazioni condotte dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Catania, dalla “rete gestita da Fahmi ben Khalifa (anche conosciuto come Fahmi Salim)”, il quale “controlla una milizia ed è azionista di una compagnia maltese, ADJ Trading Limited”, oltre a “presiedere il Consiglio di Amministrazione di una compagnia libica, Tiuboda Oil and Gas Service Limited”. E’ stato appurato che BEN KHALIFA, controllando le acque antistanti i porti libici di Abu Kammash e Zwarah, consentiva a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati e/o altre navi cisterna di piccole dimensioni. Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta, procedevano ad un ulteriore trasbordo su natanti nella disponibilità di società maltesi, le quali s’incaricavano poi di trasportarlo presso porti italiani per conto della società Maxcom Bunker SPA. I natanti utilizzati per l’illecito trasporto disattivavano il dispositivo di identificazione al fine di celare la loro reale posizione. 4 Per l’efficace riuscita delle investigazioni, questa Procura ha autorizzato l’utilizzo di dispositivi in grado di intercettare conversazioni tenutesi tramite l’impiego di apparati satellitari. In particolare, quale prima sperimentazione effettuata in Italia, i finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo P.T. di Catania hanno eseguito la captazione di conversazioni tra telefoni satellitari operando a bordo dei mezzi aeronavali del Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza e con il contributo tecnico fornito dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.). Per quanto concerne la successiva distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker SPA, le Fiamme Gialle catanesi sono riuscite a tracciare, in alcuni casi, la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania riuscendo, al contempo, a smascherare una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell’IVA e alla vendita a distributori stradali “compiacenti” – ubicati in Catania e provincia – di gasolio “extra-rete” in frode a consumatori e compagnie di bandiera. Tale struttura illecita risulta composta da società cartiere ubicate in Catania e nel siracusano nonché da depositi fiscali nel trapanese e depositi di stoccaggio nel catanese unite tra loro da apparenti rapporti commerciali attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. L’articolato sistema di frode ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (IVA) per un ammontare di oltre 11 milioni di euro. Tra gli indagati figurano gli amministratori di fatto delle società coinvolte, già recentemente investigati in similari inchieste dirette da questa Procura e condotte dalle Fiamme Gialle di Catania, ai quali sarà notificato un avviso di conclusione delle indagini. Parte del gasolio illecitamente trafugato dalla Libia, dalla Sicilia è stato destinato per la distribuzione anche a società di stoccaggio campane. Il gasolio “libico”, dopo miscelazione, è giunto, in alcuni casi, anche presso i distributori stradali ad un costo assolutamente “proibitivo” per gli operatori del settore leali costretti a soccombere al cospetto di società illecite che hanno messo a frutto l’evasione d’imposte e il minore onere d’acquisto della materia prima. La complessa investigazione economico – finanziaria ha fatto emergere un sofisticato traffico illecito internazionale di carburante in grado di alterare la libera concorrenza di mercato, a danno di imprese, consumatori finali e degli Stati europei destinatari del prodotto petrolifero trafugato.